Domingo Volpari

DOMINGO VOLPARI
Un responso dal mito

Muoiono gli altri Dei: di Grecia i Numi
Non sanno occaso; ei dormon ne’ materni
tronchi e ne’ fiori, sopra i monti i fiumi
I mari eterni
G. Carducci

Tempo fa, in occasione dell’incontro annuale che prelude alle festività natalizie, tra gli iscritti all’Associazione Nazione Ufficiali Aeronautica (ANUA) e gli aderenti al sodalizio lasalliano degli Ex Alunni di Rodi, ebbi l’opportunità di conoscere Angela Maria Perroni.
L’immediatezza del contatto, la schiettezza dell’eloquio agevolarono il formarsi di una sorta di atmosfera confidenziale che permise alla sig.ra Perroni di esternare emozioni e ricordi legati ad un passato forte e doloroso, mai sopito dagli eventi che la vita le aveva riservato.
Rodi e il Dodecaneso si affacciavano nitidi in quella circostanza al punto tale da trasferire all’interlocutore l’intensità del primo approdo nell’Isola delle Rose, allorché bimbetta, insieme alla mamma e a una piccola, utile vasca da bagno raggiungeva il padre, Provveditore agli Studi a Rodi nel 1938.
La spensieratezza del periodo trascorso nel Dodecaneso veniva, tuttavia, offuscata dal pensiero volto della tragica fine di un familiare: il Tenente del Genio Navale, Domingo Volpari.
L’argomento affrontato portava alla luce la manifestazione di un dolore così vivido e sentito da trasmettere la sensazione di un vissuto mai rimosso.
Tale partecipazione emotiva faceva sì che, in epoca successiva, la sig.ra Perroni mostrasse degli scritti dello zio Domingo, diretti ai familiari, da cui traspariva la profondità del legame verso la famiglia e la tenerezza verso la nipotina, chiamata vezzosamente Cicì.
Il 9.7.1940 domandava alla sorella Virginia, familiarmente Ginia: “ e Cicì che fa di bello? Immagino che ne combini di tutti i colori rendendosi sempre più adorabile”. E, ancora, il 18.9.1940: “Carissima Ginia, da due giorni sono rientrato alla base dopo una lunga navigazione ed ora dopo essermi riposato scrivo a tutte le persone care…”
v. lettere
La ricchezza dei particolari, le sfumature utilizzate per narrare le apprensioni familiari in assenza di informazioni da parte delle Autorità su quanto stava accadendo al proprio congiunto, conferivano, in quel contesto, una attualità unica e, nello stesso tempo, densa di pathos.
Da qui l’interesse ad approfondire le vicende che avevano portato alla scomparsa del giovane tenente, brillantemente laureatosi nel 1939 presso la Regia Università di Genova in ingegneria navale. V. giornale
Dall’Archivio storico della Marina Militare emerge un fascicolo relativo alle attività che hanno interessato il Regio sommergibile FOCA di cui era entrato a far parte il Ten. Volpari, subito dopo il conseguimento della laurea.
Su precipua richiesta del Comandante Federale Giovanni Costantino veniva invocata – in data 12.5.1938 – la possibilità di poter offrire la Bandiera di Combattimento ad una delle nuove unità da poco varate.
Il “classe FOCA”, ultimo stadio di sviluppo del sommergibile posamine-silurante, costruito presso il Regio Arsenale di Taranto e varato il 27.6.1937 aveva avuto, come madrina della cerimonia, la consorte di un capo operaio dello stesso Arsenale, Stella al merito del Lavoro.
In data 8.6.1938, l’Amm. di Divisione, Capo di Gabinetto del Ministero della R. Marina, scriveva al Comando Federale della G.I.L. come il Sottosegretario di Stato avesse disposto che il Regio Sommergibile “FOCA” ricevesse la Bandiera di Combattimento.
Dai rapporti di navigazione emerge come il FOCA avesse svolto regolare attività di posa mine fino al 23.10.1940. In particolare dal rapporto di navigazione redatto dal Comandante Mario Ciliberto di Crotone, risulta una esposizione cronologica che vede come luogo di partenza Taranto (27.8.1940), arrivo all’Isola di Lero (Dodecaneso) il I°.9.1940 e ancora, partenza da Lero in data 10.9.1940 con arrivo a Taranto il 15.9 successivo.
L’ordine di operazione n. 102 del 28.9.1940, riguardante i smg. gemelli FOCA e ZOEA, prevedeva la posa di mine dinnanzi al porto di Haifa, zona sotto controllo britannico e pertanto, operazione ad elevato rischio che fu dapprima sospesa e poi riavviata.
Dell’esito della missione non si ebbe riscontro alcuno.
In data 5.6.1941, il Sottosegretario di Stato scriveva al Presidente della C.R.I. invitandolo ad appurare la consistenza di una notizia pervenuta al Ministero della Marina in base alla quale risultava come il smg. FOCA con l’intero equipaggio fosse stato catturato dal nemico.
Da parte delle potenze avversarie, in particolare dalla Royal Navy e dalla Royal Air Force, non furono rivendicati né la cattura né l’affondamento del FOCA.
A quel punto le Autorità italiane ritennero che il sommergibile si fosse trovato di fronte a uno sbarramento nemico.
Certo è che fino all’autunno del 1940 i britannici non avevano creato sbarramenti difensivi con le mine in prossimità delle coste palestinesi.
Sul FOCA e sui 68 uomini dell’equipaggio cadde il silenzio.
Martedì 30.8.2016, nel giorno dei natali del Ten. G.N. Domingo Volpari, sulle pagine de “IL CROTONESE” comparve la notizia della individuazione – da parte del sub belga Jean Pierre Misson – del relitto del smg. FOCA sui fondali della baia di Marsa Hilal in Libia.
La notizia aveva riacceso, nei familiari dei Caduti, la speranza di poter avere un pur minimo riferimento a quello che avrebbe dovuto essere stato l’ultimo giorno di attività bellica.
Le supposizioni basate sui rilevamenti di un sonar, svolti dall’ing. belga – definito “trovatore seriale” – risultavano inattendibili, trattandosi di una interpretazione di ombre registrate dal sonar stesso, metodologia inaccettabile ai fini di una ricerca seria, in quanto non supportata da immersioni sui relitti.
Il quotidiano calabrese, nel riportare le affermazioni del Misson, aveva sollecitato un nuovo interesse sulle vicende che avevano visto emergere un proprio concittadino, il Cap. di Corvetta Mario Ciliberto il quale, a 36 anni, era già protagonista di una brillante carriera, al comando di una unità navale di alto profilo tecnologico.
Il fato si era fatto beffa degli affetti familiari.
Per la tristissima vicenda dei 68 uomini del FOCA, il richiamo ai valori fondanti di un popolo, Dio – Patria – Famiglia, non allevia la privazione dell’abbraccio con la morte, laddove la constatazione del trapasso permette di raggiungere una consolazione attraverso l’evocazione di quei principi connaturati all’essere umano.
E il mito, ancora una volta, torna a incardinare e a esemplificare quella che dovrebbe essere la logica comportamentale dell’uomo.
Ettore, valoroso eroe dei Troiani, cadde per mano di Achille.
La sua morte non placò l’ira del vincitore: dopo aver forato i piedi “alla fredda spoglia d’Ettorre”, il corpo esanime venne legato e trascinato dalla biga di Achille mentre i genitori e la moglie dello sconfitto assistevano inorriditi allo scempio.
“dopo la biga, a le difese mura intorno, egli il divin corpo di Ettorre tre volte orribilmente istrascicasse entro l’iliaca polve” (Carducci – Juvenilia, “Omero” 147, 150).
Priamo, “… il padre più misero, ch’in forza, del dispietato e suo nimico Achille, ora in premio gli dà del suo cadavero” (Virgilio, Eneide I, 789, 791, A, Caro), riuscì a commuovere “l’ucciditor del figlio” e a ottenerne il corpo.
L’abbraccio di Ettore con Priamo, Ecuba e la moglie Andromaca, conferisce al dolore quella rassegnazione necessaria a superare la soglia della cruda realtà per placarsi nella pace della Fede.
Gli uomini del FOCA non hanno goduto dell’abbraccio dei propri cari né hanno goduto del conforto religioso.
La Patria ha lasciato nell’inquietudine i familiari dei Caduti, non trovando una giustificazione di tempo e di spazio così da configurare il FOCA e i suoi Uomini come una tragedia … sospesa.
La mancanza dell’ultimo abbraccio con i propri cari ha fatto sì che il dolore restasse sempre vivo a distanza di circa 80 anni dall’evento.
Angela Maria Perroni piange oggi lo zio Domingo Volpari con una intensità tale da conferire all’accadimento una attualità profondamente toccante.

Paola Delfanti Andreuzzi

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