I Monatti a Torremaura

I MONATTI A TORREMAURA

Racconto di Pietro Macaluso
Farmacista in Roma

Dall’inizio del lockdown, le strade, le piazze, i vicoli, i quartieri, la città stessa avevano perso vita e identità per subire la metamorfosi, da turbinio caotico, rumoroso, disordinato in muto agglomerato di strade deserte, piazze spopolate, palazzate grigie e anonime, i radi passanti con fare guardingo si guardavano intorno, sospettosi e allarmati se qualcuno gli passava vicino.
Qualcuno, più apprensivo della media, allontanava con gesti eloquenti un collega che gli si avvicinava un po’ troppo o attraversava la via dal lato opposto.
I monatti arrivarono all’improvviso, l’ambulanza procedeva circospetta a fari spenti, muta, angosciante come uno squalo in cerca della preda.
Ero fuori dalla Farmacia sotto il portico, al termine di una giornata convulsa, agitata da mille circolari che affermavano l’una l’esatto contrario della precedente e da mille dubbi senza risposta.
Già! le circolari che regolano la nostra vita di sanitari al tempo del covid19.
Che nome asettico hanno scelto per un mostro che divora esseri umani incolpevoli senza nessun preavviso!
Cercavo un po’ d’aria al crepuscolo di una giornata pesante, come tutte quelle vissute da quando era iniziato l’assedio dell’arpia assassina.
Come se respirare all’aperto, finalmente libero da quella mascherina che avevo inseguito disperatamente per me, per i miei collaboratori, per i miei clienti, potesse darmi sollievo. Quando le mascherine erano introvabili ricordo ancora l’assillo telefonico monocorde: “avete mascherine?” e il monotono monosillabo negativo di risposta.
Ogni telefonata una ferita angosciante, dolorosa, lancinante e una domanda: “cosa ci sto a fare qui?”.
Mi sentivo, ci sentivamo tutti inutili.
Mancava di tutto, già durante la prima mattinata di pandemia conclamata erano volate via le scorte di Amuchina sufficienti a coprire il fabbisogno di tutta la stagione.
All’apertura della Farmacia una donna cinese, evidentemente più informata del popolo che la ospita, aveva acquistato cento confezioni di gel disinfettante e tutte le poche mascherine disponibili al momento, oltre a dieci confezioni di guanti in vinile.
In tarda mattinata era terminato anche l’alcool denaturato e l’acqua ossigenata.
In poche ore l’allarme diffuso dai social ancor prima che dai canali ufficiali aveva causato l’esaurimento di tutte le scorte di disinfettanti che in periodi normali bastano a coprire il fabbisogno per mesi.
La gente allarmata faceva incetta di tutto. La corsa all’accaparramento era cominciata. Tutti volevano tutto, sembrava che stesse arrivando la fine del mondo, il telefono squillava senza sosta con le richieste più improbabili e irrazionali.
Tutte le nostre rassicurazioni urtavano contro una muraglia di sospetti, come se avessimo il rimedio richiesto ma non volessimo evadere la domanda sempre più impellente.
Cominciammo a capire che la situazione volgeva al peggio quando i fornitori abituali iniziarono a rispondere alle nostre richieste di disinfettanti con una sola parola: esaurito.
L’umidità colava dai lampioni come cera densa e molliccia in un’atmosfera fredda, surreale, silente, in bianco e nero. Niente colori, rumori, voci. Nulla, silenzio assordante.
Dallo squalo ormai fermo davanti a un portone distante una cinquantina di metri da me discesero i monatti, li osservai incuriosito, erano in tre, si guardarono intorno attoniti per essere certi di trovarsi davanti all’indirizzo giusto.
Non ne intuivo i volti, ma ne percepivo l’espressione timorosa e incerta diventare finalmente decisa e risoluta verso un dovere da assolvere.
Indossarono con lentezza esasperante le tute bianche che li avrebbero ricoperti dalla testa ai piedi, mancavano di copri calzari, ma ovviarono con dei sacchetti di plastica fermati con degli elastici alle caviglie.
Potenza dell’italica arte di arrangiarsi!
Due di loro tirarono giù una barella e tutti e tre bianchi come fantasmi si avviarono verso il portone designato per essere presto inghiottiti dall’androne.
Ne uscirono dopo poco con qualcuno quasi seduto piuttosto che supino sulla lettiga troppo distante per riuscire a decifrarne il viso.
L’ambulanza ingoiò tutto nel suo ventre, i portelloni furono chiusi.
I portantini sedettero accanto al guidatore mentre il medico rimasto dentro il vano di carico regalava una prima boccata d’ossigeno al malato.
Fu come se la scena si svolgesse al rallentatore e ebbi modo di registrarne con tristezza nella mente i più minuti particolari.
In realtà tra arrivo, prelievo del malato e partenza erano passati solo pochi minuti.
Chiusi gli sportelli il mezzo ripartì, stavolta a sirene spiegate con un sibilo agghiacciante.
Pochi minuti di ritardo avrebbero potuto segnare la differenza tra vita e la morte.
Ne seguì una presa di coscienza immediata, ebbi finalmente la percezione netta dello strazio incombente.
Quella scena fu più efficace di mille comunicati.
Tanti pensieri si affastellavano nel mio cervello, il più immediato: simpatia e ammirazione per i monatti arrivati all’improvviso e scomparsi nella sera deserta come spettri col loro carico di speranza.
Pietà per il malato e apprensione per la morte atroce che gli avrebbe potuto essere riservata e verso la quale sembrava correre indifeso.
Per analogia i monatti mi sembrarono come i soldati dell’Armir mandati a combattere il freddo siberiano, con le scarpe di cartone quelli, con le buste di plastica al posto dei copri calzari questi.
Una corrente di simpatia mi avvicinò al cuore questi e quelli, poveri cristi mandati a combattere il mostro senza armi, senza protezioni, senza conoscenze, senza difese, armati solo di speranza.
Uomini generosi che combattevano per altri, uomini allo sbaraglio, eroi.
Pensai: anche io sono uno eroe, forse ?
E i miei figli che lavorano con me e i miei collaboratori e tutti i colleghi anonimi che combattono con armi spuntate cosa sono?
Tutti eroi veri che affrontano l’insidia quotidiana con coraggio e generosità, pochi ne parlano; ma i clienti ci cercano, chiedono consiglio, conforto, aiuto, speranza.
Speranza che non bisogna perdere, pena la sconfitta.
Non siamo nient’altro che combattenti inermi come il medico che quella stessa sera, già dentro l’ambulanza, avrebbe tentato di combattere il virus assassino entrato nelle nostre vite come per decreto, all’improvviso.
La reazione fu immediata, l’unico modo per dare un senso a quell’assurda situazione, l’unica maniera di rendersi utili era quello di tenere la Farmacia quanto più possibile fornita per l’emergenza, per coprire quanto più possibile ogni richiesta d’aiuto. Da quella che celava l’angoscia a quella che denunciava un malessere completo, impellente, incoercibile.
Ricordai lucidamente la frase di Kipling: “Tutti siamo utili, nessuno è indispensabile”, parole sagge, ma che in quel momento urtavano contro il mio caparbio convincimento di essere indispensabile.
Mi sono detto: “In questa situazione siamo tutti indispensabili, ognuno di noi in funzione delle proprie competenze deve dare il suo contributo alla lotta contro il mostro, senza se e senza ma. ”
E cominciai elaborare una strategia che potesse rendere il nostro servizio ancora più efficiente del solito. Tutti dobbiamo fare del nostro meglio e cominciai a pensare di coinvolgere tutta la mia squadra verso questo scopo.
Uno dei clienti, quasi un amico ormai, mi si avvicinò per dirmi che l’indomani al Policlinico Tor Vergata avrebbero operato la moglie che sapevo affetta da un tumore al rene, era molto preoccupato. Cosa si dice in questi casi?
Lo addolorava il fatto che non avrebbe potuto assisterla né prima dell’intervento né durante il decorso post operatorio essendo il nosocomio interdetto ai visitatori per il covid.
Mi disse prima di andar via: “Se non supera l’intervento non avrò neanche la consolazione di averla assistita fino all’ultimo.”
“E non saprò come è andata a finire fino a quando qualcuno dall’Ospedale si ricorderà d’informarmi.”
Aveva gli occhi lucidi e spenti.
Questo è il covid , mi limitai ad annuire senza neanche potergli stringere la mano.
Che mostro è mai questo assassino che non ha la minima considerazione per sentimenti, affetti, emozioni?
Intanto i clienti sono diventati pazienti in ogni senso. Pazienti, silenziosi, assorti, in fila, disciplinati come non mai. Coscienti del pericolo; non ho visto nessuno cercare di passare avanti, tutti in attesa, in Farmacia, al Supermercato, davanti al Forno, col freddo e la pioggia, tutti in fila; il popolo dei furbi si è mostrato disciplinato, cosciente, serio.
Roba da non credere, questo Popolo ha osservato puntigliosamente le regole del confinamento.
Chi l’avrebbe mai detto?
Qualcuno è scomparso, non vedo parecchi anziani, quando li riconosco malgrado la mascherina ne chiedo notizia ai figli, a un parente o alle badanti. Qualcuno è morto, di cosa? Meglio non indagare.
Qualche altro – mi rispondono – resta a casa per prudenza.
Qualche anziano telefona per chiedere spiegazioni riguardo al nuovo farmaco prescrittogli per via telematica da un altro fantasma, il medico di famiglia, che nessuno riesce più a vedere e neanche a parlarci al telefono per via delle linee intasate o dei cellulari spenti o fuori campo, pertanto l’unico presidio che è possibile contattare è la Farmacia.
In Farmacia grazie a due linee qualcuno risponde ancora, ascolta, parla, consiglia.
Dalle altre parti chissà? In compenso in televisione rassicuranti annunci dicono di chiamare questo o quel numero, ma quando hai bisogno nessuno risponde.
Per Pasqua un’anziana cliente ci ha mandato una colomba pasquale, mai ricevuto regalo più gradito, ci ha fatto sentire utili.
Dopo anni di formalità balorde finalmente il rapporto è tornato umano. Merito del covid ?
Eppure qualche giorno prima la RAI ha mandato in onda i nostri rappresentanti protagonisti di un rassicurante aperitivo a Milano tra abbracci e baci. Qualcuno a cena al ristorante cinese come per dire: “Tranquilli, va tutto bene”, intanto la gente muore …
Qualche giorno fa Don Cesare, il Parroco di San Giovanni Leonardi – il Santo Patrono dei Farmacisti-, mi ha fatto una richiesta particolare, un po’ di guanti, gli sarebbero serviti per amministrare l’Eucaristia, in vista della prossima autorizzazione governativa a dir Messa, l’ho accontentato attingendo all’esigua scorta riservata al personale.
Succede anche questo in tempi di pandemia.
Tra le mie clienti qualcuna soffre di una malattia antica, il Lupus.
L’unico farmaco che può attenuarne i dolorosissimi morsi è introvabile.
Introvabile perché un imbecille di turno in televisione ha affermato che l’idrossiclorochina – un vecchio antimalarico – si è dimostrata efficace come farmaco anti covid con l’unico risultato di provocarne la corsa all’acquisto e l’invariabile esaurimento delle scorte.
Per fortuna il produttore ha attivato un canale particolare per il reperimento del farmaco, qualche giorno di attesa in più e seppur con qualche ritardo le pazienti disporranno del loro rimedio.
Altra situazione emergenziale riguarda l’ossigeno, che non manca per fortuna, mancano solo le bombole per contenerlo, infatti sono quasi introvabili essendo in massima parte a disposizione dei Reparti di Terapia Intensiva.
Ma al paziente non covid, al malato con difficoltà respiratorie cosa si può dare in alternativa?
E mi tornano alla mente i vari provvedimenti di ritiro dal commercio delle vecchie bombole, vecchie si ma funzionanti, che sarebbero tornate utili nell’emergenza.
Se fossero ancora disponibili non ci sarebbero difficoltà di approvvigionamento di ossigeno.
Arriva puntuale una Circolare che precisa che se qualche Farmacia dispone ancora delle vecchie bombole in disuso può richiedere ai fornitori di ricaricarle; nel caso in cui il fornitore si rifiutasse il Farmacista potrà farsi accompagnare dai Carabinieri del NAS che obbligheranno il fornitore a provvedere alla ricarica coatta.
Ma in che paese viviamo?
Queste bombole furono dichiarate inadatte tanti anni fa e ora sono adatte, addirittura sotto scorta dei NAS.
Sospetto: niente niente che quando furono dichiarate inadatte il provvedimento uscì per consentire a qualche produttore di far dismettere le vecchie bombole per poter agevolmente piazzare le nuove?
Delle due l’una, o le bombole erano pericolose allora e lo sono ancora oggi, o non erano pericolose e quindi non avrebbero dovuto essere accantonate …
In che mani siamo e siamo stati ?
Rientro in Farmacia per esaminare la pila di ricette sospese per i mancanti. Che fare ?
Mi piazzo davanti al pc per esaminare la posta, una sfilza di mail cattura la mia attenzione, in questi giorni le offerte più improbabili propongono di tutto e di più, quale sarà quella giusta?
Mascherine per tutti gusti con date di consegna improponibili, pagamenti anticipati che hanno il sapore di tentata truffa. Quanti abboccheranno?
Una delle voci più insistente è l’offerta di sanificazione, vocabolo entrato di prepotenza nella vita di chi ha un’attività aperta al pubblico. Società ignote e improbabili offrono tutto di tutto, dal gel igienizzante, badate bene, non disinfettante, la parola è scelta con cura, dice tutto e niente ma non ha un potere disinfettante, manca l’alcool, l’unico gel veramente disinfettante potrebbe essere quello a base di ipoclorito, ma puzza di cloro e la gente vuole il profumo come se la disinfezione potesse essere garantita dal buon odore.
Ho preparato un gel alcoolico a disposizione e noto che i clienti appena lo passano sulle mani le portano al naso, forse per saggiarne così il potere antivirale.
Qualcuno gradisce, altri esterrefatti osservano che odora di alcool.
Mi vien da rispondere, ma vuoi un disinfettante o un profumo? Mi taccio per carità di patria.
Quello che manca in Farmacia si trova a prezzi esosi su Amazon, c’è tutto, obtorto collo decido di fidarmi e acquisto un apparecchio ozonizzatore di buona potenza, in grado di disinfettare veramente il locale durante le ore di chiusura, pago anticipato, mi armo di tanta pazienza e aspetto.
Dopo un paio di settimane arriva una mail dal corriere che mi comunica che se voglio l’apparecchio devo provvedere a saldare le spese doganali provenendo il “depuratore d’aria” da un Paese extra U.E. senza precisare quale. Rimango un po’ perplesso avendo accertato prima dell’acquisto che l’apparecchio è di produzione germanica, memore dell’incontestabile esperienza teutonica in materia di produzione di gas.
Pago anche le spese doganali per scoprire alla consegna che l’apparecchio, prodotto da una rinomata ditta tedesca, proviene da Hong Kong. Ecco il motivo delle spese doganali; ma guarda sti cinesi, te li trovi dappertutto, dentro casa, di lato, di sguincio di sotto e di sopra.
Permeano tutto come il virus. Sarà un caso ?
Intanto come se non bastassero le mail arriva la pubblicità telefonica, improbabili esperti mi offrono la loro opera sanificante a 160 euro la settimana, chiedo che cosa usino per sanificare e mi rispondono con sufficienza che utilizzano dei vaporizzatori caricati con Perossido d’Idrogeno, mi sento preso per i fondelli, raccolgo tutto il residuo di pazienza che mi ritrovo e chiedo se per caso dispongono di apparecchi per l’ozonizzazione.
Nel migliore dei casi mi sento rispondere: che cosa sono?
Non ho più la forza di discutere, chiudo la telefonata dicendo che lo faccio perché ho paura che continuando a parlare il contagio potrebbe propagarsi via telefono !!!
Chiudono la conversazione con un educato: “capisco”.
Si è fatto tardi è ora di chiudere. Un’altra giornata di pandemia si è conclusa.
Rientro a casa con ancora indosso guanti e mascherina, li toglierò all’arrivo, insieme alle scarpe e ai vestiti, per ridurre al minimo il rischio di contagiare i miei cari.
Apro la porta, una corsa in bagno, mi spoglio, lavo accuratamente le mani, intanto mia moglie apparecchia la cena.
Domani si riparte.
Finirà?

PIETRO MACALUSO

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