Molti degli italiani che soggiornano a Rodi ignorano del tutto il recente passato dell’isola. I pochi che sono in qualche modo a conoscenza della presenza italiana la associano alla Seconda Guerra Mondiale e mostrano di ritenere che il Dodecaneso fu occupato dall’Italia a seguito del conflitto che (sciaguratamente) la oppose alla Grecia.
Ovviamente non è così. Ma è indubbio che, proprio in correlazione con quel conflitto, la presenza italiana – almeno sul piano militare – si incrementò significativamente. Molte migliaia furono i militari di tutte le Armi che prestarono il loro servizio a Rodi. Tra questi, mio padre, l’allora Tenente Medico Evaldo Angeloni, giunto a Rodi il 24.12.1941 e ivi rimasto fino al 4.9.1943 quando partì per una licenza che lo sottrasse allo scempio seguito all’armistizio.
Durante il servizio prestato a Rodi il Ten. Angeloni partecipò a numerose missioni aeree di soccorso a bordo dei CANT Z 506 basati al Mandracchio. Gli anziani di Rodi ancora ricordano tali aerei bianchi con la croce rossa e, in particolare, il grave incidente che vide precipitare uno di essi appena dopo il decollo. Si trattava del veicolo pilotato dal Cap. Molteni, con il quale mio padre aveva partecipato a più di una missione e che era decollato per una prova di efficienza. Solo per un caso mio padre non era a bordo, avendo ricevuto l’invito amichevole di Molteni a unirsi a lui. Scampò così a una morte certa.
Tra le missioni di soccorso merita di essere ricordata quella di recupero dei naufraghi della nave Fiume, silurata nel novembre 1942 nel braccio di mare tra Rodi e Simi. Il CANT Z 506 con a bordo mio padre fu il primo a giungere sul luogo del disastro, soccorrendo alcuni dei (pochi) superstiti.
Altre missioni si spinsero fino al limitare delle coste egiziane, ma non ebbero fortuna perché non fu trovato alcun naufrago. Oggi i turisti che, a centinaia di migliaia, raggiungono Rodi da ogni parte d’Europa scrutano dall’aereo il mare, ansiosi di catturare belle immagini anticipatrici di una spensierata vacanza. Ben altro doveva essere lo spirito di chi era imbarcato sui voli di soccorso alla ricerca di tracce di vita di naufraghi e sempre nel timore di incontrare sulla propria strada il nemico. Un nemico che, dato il teatro di operazioni, si manifestava pressoché esclusivamente per via aerea.
Quando infine un nemico si manifestò per via terrestre, questo fu il precedente alleato tedesco. Ma a mio padre fu risparmiata l’umiliazione del capovolgimento di alleanze e delle tragiche conseguenze che ciò comportò nel Dodecaneso.
Una destinazione privilegiata rispetto a molte altre si trasformò in un Inferno in terra. E soprattutto, in mare, dati gli affondamenti da parte britannica delle navi cariche di militari italiani di ogni Arma fatti prigionieri dai tedeschi. Ed è triste notare che, mentre giustamente si ricorda il brutale trattamento inflitto dai tedeschi ai nostri militari, quasi nessuno sottolinea che gli inglesi non esitarono a silurare le navi che trasportavano i prigionieri anche quando era bene in vista la sigla P.O.W. (Prigionieri di guerra).
Eppure, fino a poche settimane prima, la vita a Rodi scorreva relativamente serena. Come è testimoniato dalle belle fotografie di Calitea scattate nell’agosto 1943 e che ci tramandano il ricordo di una bella giornata di svago trascorsa dai militari godendo di un mare allora (e ancora oggi) meraviglioso.
Pare di sentire risuonare il clacson dell’autobus e le voci allegre degli uomini. Tra loro si distingue un ufficiale germanico, a riprova dell’imponderabilità di quanto stava per accadere. Di lì a poco, infatti, giunse l’infausto Otto Settembre. E’ naturale chiedersi quale sia stata la sorte di quei militari e se quell’ufficiale tedesco abbia combattuto qualcuno di loro.
E’difficile immaginare un più brusco passaggio da una relativa tranquillità a un vero e proprio Inferno.
Mio padre partì da Marizzà il 4 settembre e il foglio di licenza testimonia la fortuna di essere sottratto all’incombente pericolo. Tornato in Patria, continuò il servizio nell’Arma Azzurra raggiungendo il grado di generale.
Ma l’Italia era cambiata e, nel dopoguerra, dimenticò rapidamente il Dodecaneso rimuovendo ogni memoria della presenza in terre, come si usava dire, di Oltremare (e perfino in terre italianissime da secoli, come l’Istria e la Dalmazia).
Capita perfino di leggere su rinomate riviste di turismo il riferimento ai nostri militari nell’Egeo come “fantaccini”, mentre resta diffusa l’immagine caricaturale del tipico seduttore con il mandolino ( ricorrente anche in troppo premiati prodotti cinematografici).
Il ricordo di mio padre affidato a queste brevi note è così l’occasione per unire nel ricordo tutti i militari che hanno prestato servizio nei Possedimenti Italiani dell’Egeo, molti dei quali riposano in fondo al mare.
Roma, 25 marzo 2016
Stefano Angeloni