Nell’immaginario collettivo all’isola di Rodi si associano, oltre al mito del COLOSSO, anche l’epopea dell’Ordine Cavalleresco di S. Giovanni.
Ma, per chi si appresta a sbarcarvi, trasfonde sin dal primo sguardo concretezza all’immaginario e, se i resti del Colosso possono ancora alitare dal fondo marino, i Cavalieri esprimo la loro potenza attraverso le formidabili costruzioni visibili all’orizzonte.
Pietre preziose incastonate in un monile la cui bellezza si evidenzia ancorpiù nello scoprire una coinvolgente armonia logica con le altre costruzioni, espressioni di una epopea successiva.
Angelo Andreuzzi ebbe certamente un sobbalzo allorchè, S.Tenente fresco di nomina, arrivò al porto del Mandrachio.
Vincitore di un concorso indetto dal Ministero della Regia Aeronautica come “Automobilista”, gli venne conferito nel 1937 l’incarico di attrezzare le officine del più importante aeroporto del Dodecaneso, divenendone Direttore.
L’aeroporto sorgeva alle pendici del Monte Fileremo in prossimità del villaggio di Maritza.
In breve tempo le officine raggiunsero la completa operatività e furono in grado di fronteggiare tutte le necessità e le urgenze attinenti ai mezzi meccanici militari e, in particolare, ai motori delle automobili e degli aerei.
L’attività doveva essere certamente frenetica, giacchè, quale unico punto di riferimento per le diverse dislocazioni militari nell’Egeo orientale, ogni distonia meccanica doveva essere affrontata dal S. Ten. – poi Ten. – Andreuzzi e dai suoi collaboratori.
La buona sorte fece sì che il centro costituito dal giovane Tenente potesse rendersi ancor più apprezzabile nella misura in cui anche giovani Avieri o Soldati ebbero la possibilità di esprimervi le proprie competenze.
Basti ricordare Ferruccio Lamborghini di cui è nota la genialità creativa nel campo delle automibili da corsa e delle macchine agricole.
Intelligenza e curiosità lo spingevano a primeggiare anche all’interno delle officine.
Narrava, infatti, il Ten. Andreuzzi che, non appena veniva trasportato dall’Italia un nuovo tipo di automezzo militare, Ferruccio Lamborghini ne studiava il meccanismo leggendo di notte il manuale esplicativo del sistema meccanico.
Tale prontezza gli consentiva di essere l’unico in grado di guidare l’automezzo allorchè il giorno successivo si doveva necessariamente ricorrere alla guida dello stesso quanto meno per spostarlo dal parcheggio ed indirizzarlo al reparto.
L’incessante attività lavorativa non scoraggiò certamente l’Aviere automobilista Gino Manicone di Sonnino (LT) che, alle dipendenze del Ten. Andreuzzi, visse un periodo proficuamente intenso e costruttivo anche dal punto di vista professionale tanto che le conoscenze, acquisite nei tre anni trascorsi a Rodi, gli consentirono, al rientro in Patria, di ultimare gli studi tecnici, di partecipare alla stesura e alla realizzazione del piano regolatore di Milano e di costituire a Sermoneta – unitamente a don Edoardo Fino, cappellano militare della R.A. a Rodi – il Tempio Votivo ai Caduti in Egeo.
Il quotidiano impegno lavorativo non impediva al giovane ufficiale della Regia Aeronautica dell’Egeo di trascorrere nella vicina città di Rodi ore piacevoli presso il Caffè Italia ove una orchestrina intratteneva gli ospiti con melodie in voga.
Indimenticabili le serate danzanti presso l’Albergo delle Rose frequentato dalla migliore borghesia dell’isola.
Del resto i collaboratori del Tenente mostravano pari abilità sia nel campo lavorativo sia in quello ludico.
Si racconta che l’Aviere Gino Manicone, con un colpo di mano, profittando dell’assenza del suo superiore e contravvenendo alle disposizioni dal medesimo impartite, si sarebbe seduto al volante di una vettura parcheggiata nell’autoreparto per raggiungere una fanciulla del luogo.
Mal gliene incolse. Scoperta la marachella, il Ten. Andreuzzi lo affidava alle sapienti mani del barbiere dell’aeroporto il quale provvedeva a “tosare” l’intraprendente giovane, esonerandolo dalla cella di rigore.
Una punizione esemplare che, non esentando l’Aviere dal prestare il prezioso apporto lavorativo, gli impediva di mostrarsi alle giovani coetanee quanto meno fino alla completa ricrescita dei capelli, meditando, in tal modo, sulla inopportuna utizzazione della vettura militare.
Una vita sana, dunque, bella se porgiamo per un attimo attenzione anche al contesto nel quale si svolgeva.
Rodi, dotata di uno straordinario clima, profusa di una ricchezza storica armoniosamente esaltata dalla presenza italiana, ove costruzioni, restauri e interventi innovativi erano volti unicamente ad evidenziarne la eterogeneità culturale e religiosa.
Il Ten. Andreuzzi, assaporandone il valore e la straordinarietà, iniziò a cercare un’abitazione dove poter vivere con la propria famiglia.
Un mulino a vento lo entusiasmò al punto tale da coinvolgere nel progetto anche la futura moglie Albertina. Entrò in trattative. Purtroppo più in alto si stavano svolgendo altre trattative, trattative che determinarono accordi procellosi.
Le officine meccaniche di Zairi, funzionanti e attrezzate per ogni evenienza, fornite di tutti i materiali necessari a fronteggiare qualsiasi difficoltà, si trovarono l’8 settembre 1943 al centro di contrapposti appetiti.
Da un lato i tedeschi ex amici ora nemici, dall’altro gli inglesi ex nemici ora amici.
Una realtà paradossale che non poteva tradursi con immediatezza nella quotidianità.
Chiunque fosse entrato in possesso di tale complesso meccanico avrebbe portato nocumento ai militari italiani che si trovavano in uno stato di abbandono.
Il Ten. Angelo Andreuzzi, dopo aver conferito con il Gen. Alberto Briganti, ultimo comandante dell’Aeronautica dell’Egeo, provvide a far brillare tutte le officine, all’imbrunire del 10 settembre 1943.
I bagliori dello scoppio giunsero fino alla città distante soltanto 5 chilometri.
Catturato il 16 novembre 1943 dalle SS, trasferito sulla motonave Leopardi a Lero e, successivamente, al Pireo, operato all’orecchio destro da un medico della Wermacht a Brno, venne scambiato tramite la Croce Rossa con due prigionieri tedeschi.
Rodi svaniva così tra il balenio delle bombe, ma non certo nel ricordo.
Entrata a far parte della sua famiglia venni in tal modo a conoscenza di quegli avvenimenti: il suo sguardo ancor prima della voce trasmetteva una emozione ed una malinconia penetranti, profonde.
A pochi mesi dalla sua dipartita bussò alla porta di casa di Roma l’ex Aviere Gino Manicone, desideroso di riabbracciare il “Comandante” e fargli omaggio del libro “Italiani in Egeo” a lui dedicato in cui narrava delle vicende italiane nel Dodecaneso.
Da allora è trascorso altro tempo, poco o tanto non so: tutto è relativo.
Certo è che il ricordo del Comandante Andreuzzi ci accompagna nei percorsi rodiesi traducendosi in immagini, in suggestioni che, superando il nozionismo di maniera, affondano le radici nella lezione della vita.
I rari mulini a vento, che ancora si ergono lungo la costa esposta al Meltemi, hanno perso le loro pale, la loro funzione, ma non il valore di testimoni.
In quei torrioni protesi al vento, ma non più efficienti, si riflette la storia del Comandante Andreuzzi laddove l’apporto offerto per il bene del proprio Paese anche a rischio della vita, si dilegua nell’incuria del tempo.
Eppure il suo gesto assume i contorni di una epopea cavalleresca contemporanea.
Le vicissitudini del Ten. Andreuzzi, con il rietro a Roma, non volgevano al termine.
Puntualmente – al pari degli altri Ufficiali dell’Aeromautica – venne sottoposto al processo di “Epurazione” che affrontò con fermezza e rigore.
Gli Ufficiali superiori chiamati a testimoniare in giudizio rappresentarono all’organo giudicante la verità violata – vanificando l’impianto accusatorio costituito da alcune calunniose lettere anonime provenienti da un inboscato pantofolaio ministeriale.
Superate le difficoltà di un periodo ove il sospetto e l’incertezza ne caratterizzavano lo scandire quotidiano, il Ten. Andreuzzi potè proseguire la carriera nell’Aeronautica Militare fino al raggiungimento del grado di Colonnello.
PAOLA DELFANTI ANDREUZZI